martedì 24 agosto 2010

La casa inuit di Ammassalik

Un tempo gli inuit di Ammassalik vivevano nelle case di terra.
Erano costruzioni parzialmente interrate, con i muri in pietra e il tetto in zolle di muschio e di torba sostenute da costole di balena o tronchi d'albero spiaggiati.
Avevano dimensioni mediamente di sei/sette metri dk lunghezza per cinque/sei di larghezza, e potevano ospitare dalle dieci alle 25 persone, tutte appartenenti al medesimo nucleo famigliare.

Interno di abitazione -1907 - f.to J.Petersen
Interno di abitazione - ricostruzione Museo di Tasiilaq
Vi si accedeva camminando curvi tramite uno stretto e basso cunicolo lungo un paio di metri, che impediva alla neve e al vento di entrare.
All'interno le pareti erano coperte da pelli di foca, il che creava un ambiente interno abbastanza caldo. Tutto intorno era sistemata una piattaforma, dove sedevano e dormivano gli abitanti.
L'illuminazione era fornita da lampade scavate in pietra di steatite, ove veniva bruciato grasso di foca.
L'aerazione si otteneva tramite un buco nel soffitto.
In un angolo vi era un grande otre, dove i maschi orinavano direttamente, e le femmine vi depositavano la propria versandola da un contenitore più piccolo: l'orina veniva poi utilizzata per la concia delle pelli.
Ogni gruppo famigliare era diviso dagli altri da una tenda in pelle.
Queste case erano abitazioni 'temporanee', essendo gli abitanti di Ammasslik nomadi.
In estate venivano abbandonate, e il nucleo famigliare si muoveva alla ricerca di territori di caccia più abbondanti.
Durante questo periodo le famiglie soggiornavano in tende di pelli, come in uso ancora ai tempi nostri presso gli allevatori nomadi di renne della Siberia.
Questi accampamenti estivi di caccia potevano essere visti ancora negli anni 1950, eretti nelle zone più a nord dei fiordi di Sermilik e di Sermiligaaq.
Ai primi freddi gli inuit rientravano verso la costa, dove il clima era più mite, ma non tornavano alle case abitate l'anno prima. Ne costruivano di nuove in un altro luogo, oppure ne utilizzavano una trovata abbandonata.

Abitazioni attuali a Tinitequilaaq
Questo migrare continuo ha creato la mancanza del concetto culturale di 'casa' così come lo intendiamo noi, e ha fatto sì che questa popolazione ancora oggi dia poca importanza all'abitazione, considerandola più un luogo di 'permanenza' che un luogo dove trascorrere la propria vita.

sabato 21 agosto 2010

Rientro dal mondo degli inuit


La missione che ho condotto nei villaggi di Ammassalik è terminata.
Durante le due settimane di permanenza sono state girate ore di filmati, centinaia di fotografie sono state scattate a documentare il mondo di oggi nei confronti del mondo di ieri.
Di questo nei prossimi post darò documentazione.
Ma soprattutto è stato meraviglioso il rapporto di sincera simpatia e di scambio di informazioni sui nostri due diversi mondi di vita, che si è avuto fra il gruppo della missione e la popolazione del remotissimo villaggio di Tinitequilaaq, dove già ero stato due anni fa.
In questo villaggio sono stato colpito dal ricordo che ancora tutti avevano della mia permanenza nel 2008.
Soprattutto i bimbi, quelli più piccoli, con cui per tre giorni avevo giocato e che avevo portato in giro sulle spalle, mi salutavano e mi abbracciavano.
Oggi sono già grandicelli, e collaborano al sostentamento famigliare andando a caccia e a pesca.

A Tasiilaq, ho incontrato il piccolo 'Elvis', il cantante del villaggio come lo avevamo soprannominato allora, cresciuto ma sempre con il ciuffo biondo sbarazzino e il sorriso cordiale.
Mi sono stupido nel vederlo qui, e non a Tiniteqilaaq, il suo villaggio.
Stava insieme ad un gruppo di ragazzine, nella stradina davanti al pub, e il mio pensiero è subito corso alla piaga dell'alcool, che qui ha assunto le dimensioni di una vera peste, anche se, dopo il picco avuto fra le generazioni degli anni 60/70 sta oggi rientrando nella media delle città del nord-Europa.

Sbarcato a Tinitequilaaq (Tinit, come lo chiamano gli abitanti), non ho visto che anziani, poche donne e bimbi piccoli.
Dove erano finiti tutti?
Ho temuto quello che mi aveva detto Robert Peroni poche ore prima: per il prossimo anno prevediamo 100 suicidi: un dramma per una popolazione di meno di 3000 abitanti!
Ma poi...
poi ho appreso che erano tutti isolati e bloccati nei campi di caccia a nord del Sermilik, completamente ghiacciato, chiuso dagli icebergs e dalle zolle di pack invernale, che nonostante la stagione avanzata continuavano a permanere.

Ecco... poi alla sera è arrivato il piccolo Joseph sulla sua biciclettina.
Veloce come un gabbiano, mi ha subito riconosciuto, mi si è piantato davanti e si è messo a ridere...
E una notte, mentre passeggiavo con lui per le strade avvolte dalla nebbia, sottile, che saliva dal Sermilik, è arrivato in barca, stanchissimo da Tasiilaq, anche il piccolo 'Elvis', che stava là, semplicemente per ... studiare.
Erano tutti salvi, i miei piccoli amici!


Il giorno della partenza, prestissimo, forti colpi contro la porta della casa inuit dove eravamo alloggiati ci hanno svegliati.
Che era successo di tanto importante, da venirci a chiamare a quell'ora?
Nulla, semplicemente i piccoli amici erano venuti a salutarmi, e a dirmi che loro uscivano per la pesca, e che ci saremmo rivisti, forse, una volta ancora negli anni futuri?
Certo.

Il mondo degli inuit sta cambiando, vanno a pesca con le barche e non più con il kayak, hanno fucili e non più arpioni, vestono giacche in piumino, ma la loro mano e sempre tesa amichevole verso l'ospite gradito e non invadente.