giovedì 30 ottobre 2008

Una storia inuit di mare e di kayak

Sermilik chiuso dai ghiacci. Sullo sfondo la Calotta groenlandese

Questa che leggerete è una storia di kayak, in altre parole 'di mare'.
Gli inuit vivono sul mare, sul mare cacciano e pescano. Se si ruba loro il mare, si segna la loro fine.
Così era un tempo, e così ancor oggi è qui, nella baia di Angmagssalik, dove si svolge questa storia.
E' stata raccolta, nell'aprile del 1937, dalla viva voce di un Inuit da Paul Emile Victor, esploratore ed etnologo francese che ha studiato gli inuit di Angmassalik raccogliendone gli usi, i costumi, le tradizioni, le storie, e da lui riferita nel libro 'La civilisation du phoque”.
L'ambiente della storia sono il fiordo di Sermilik, i suoi ghiacci, e i piccoli villaggi di cui è disseminato, molti dei quali ancora oggi esistono.
I protagonisti sono i cacciatori inuit e le loro imbarcazioni, i veloci kayak per la caccia e la pesca guidati dagli uomini, e i lenti umiak guidati dalle donne, che venivano utilizzati per il trasporto degli oggetti e dei bambini durante i trasferimenti estivi ed invernali.
La storia, è una storia di vita quotidiana, non dissimile da altre storie che accadono in ogni altra parte del mondo.

Successe a Sermilik, il grande fiordo, molto tempo fa.
Ogni estate molti cacciatori non tornavano dalla caccia in kayak. Affondavano con il loro kayak, o forse qualcuno aveva gettato loro il malocchio. Non si seppe mai.
Tibidaj (“Colui che sente male”) parte un giorno in kayak da Ikatek, dove vive.
Incontra due fratelli che abitano a Iderta, villaggio solitario e lontano, di una casa soltanto. Cacciano insieme. I due fratelli sono molto gentili con Tibidaj. Raccontano delle storie. Ridono tutti e due. Si fanno dei segni e delle strizzate d'occhi.
I bassi fondali di Neremmak non sarebbero buoni per affondare qualcuno di quelli che portano le fasce sulla testa?” dice il primogenito al fratello minore.
Il fratello minore si mette a ridere. Allora il primogenito aggiunge:“E l'occhio di quello che è morto l'estate scorsa, non ci guarda da lassù, dall'alto della montagna?”
Tibidaj capisce che stanno parlando di uomini uccisi e tagliati a pezzi, alcuni pezzi dispersi in fondo al mare e un occhio in cima alla montagna per impedire al morto di tornare a vendicarsi, e che sono questi due fratelli ad aver ucciso i cacciatori in kayak che non sono rientrati ogni anno, da anni.
”Ho dimenticato i miei guanti da kayak sulla riva” dice “La marea sale. Vado a metterli nel mio kayak. Aspettatemi”.
Scende correndo al mare. Entra nel suo kayak, fugge pagaiando con vigore. Lassù, i due fratelli lo aspettano.
Aspettano fin quando lo vedono lontano, sul fiordo.“Se ne è andato”, dice il primogenito.“Sì, se ne è andato” risponde il fratello.
Tornato a Ikatek, Tibidaj racconta. Capiscono tutti, allora, che sono i due fratelli di Iderta ad aver ucciso i cacciatori in kayak che non sono rientrati, da anni, ogni anno.
Decidono di partire per andare ad ucciderli, e partono verso Iderta, con molti kayak e molti umiak. A Iderta non c'è più nessuno. I due fratelli probabilmente sono partiti verso il sud. I cacciatori ripartono verso sud.
Trovano molte tende a Itsalik, vicino Isertoq. Il primogenito dei due fratelli è qui.
Allora si fermano e si dirigono verso le tende. Con indifferenza, passano la giornata a giocare e divertirsi.La sera il primogenito dei due fratelli riparte verso nord per rientrare a Iderta. Quelli che sono lì con Tibidaj, ma anche tutti gli altri che vogliono vedere cosa succederà, poiché tutti conoscono, ora, la storia, lo seguono.

Il primogenito si siede sul posto del timoniere, in fondo all'umiak. Prende la barra del timone. Giusto la testa e le spalle gli sporgono.
Non si fida. Ha paura vedendo gli umiak e i kayak che lo seguono.
Nei pressi di Igasartek, Tibidaj in kayak gli si avvicina da dietro e gli lancia contro l'arpione per gli uccelli. Il tiro è forte e preciso. L'arpione si pianta in alto sulla schiena, tra le due spalle.
Tutte le donne negli umiak gridano.
L'umiak del primogenito dei fratelli riesce a raggiungere la terra. Il ferito salta sulla riva, l'arpione sempre piantato nella schiena perché non ha potuto strapparselo. Gli altri cacciatori arrivano in kayak. Il primogenito dei fratelli fugge con l'arpione piantato sempre nella schiena. Corre veloce, ma un uomo lo raggiunge.
Negli umiak le donne gridano sempre più forte. Gli uomini si sono fermati e guardano.
Allora quello che corre più veloce di lui gli da un colpo violento nella schiena, tanto violento che lo fa saltare in avanti. Va a schiantarsi più in basso. L'urto è così terribile che la mascella inferiore si va a conficcare tra le due clavicole. E' morto.
Prima di ripartire, si racconta allora quello che si sa dei due fratelli, e che non si è mai raccontato prima. Il primogenito era brutale, collerico e violento. Ha ucciso quello e quell'altro per vendicarsi, apertamente e senza nascondersi. Il più piccolo aveva paura del primogenito, ma lo seguiva per aiutarlo. Erano quasi sempre insieme.
Tutti gli umiak e tutti i kayak ripartono.
Quando il secondo dei due fratelli apprende che il fratello maggiore è stato ucciso, si allontana con la famiglia e si stabilisce a Tasidartik. Qui lo si vede tutti i giorni portare delle enormi pietre. Allora tutti capiscono che si allena per diventare forte, molto forte, il più forte di tutti i villaggi per poter, un giorno, vendicare la morte del fratello.
Qualche anno più tardi, in estate, l'uccisore del fratello primogenito è seduto davanti alla sua tenda, intento a scolpire un osso di balena. Alza gli occhi, e vede, lontano, un umiak che si avvicina. Riconosce il fratello più piccolo seduto nella parte posteriore dell'umiak.
L'umiak accosta. Il fratello minore scende a terra con un salto. Ha un'accetta in mano. Arriva alla tenda davanti la quale è seduto l'uomo che gli ha ucciso il fratello. Gli si ferma davanti.
Un lungo arpione per la caccia alla balena è appoggiato contro la tenda con a lato la lunga e spessa cinghia, e alla fine della cinghia sono legati cinque grossi galleggianti. L'uomo non dice niente. Guarda il fratello dell'ucciso. Non ha paura. Il fratello dell'ucciso dice:“Non mi vendicherò della morte di mio fratello su di te”.
Indica il lungo arpione, la cinghia e i cinque galleggianti e dice:“Questo, mi ripagherà per la vita di mio fratello”. E prende il lungo arpione.
No, dice l'uccisore del primogenito. Tu non ti ripagherai con questo!”.
Impugna l'altra estremità del lungo arpione. Tirano, ognuno dalla sua parte. Tirano.
Lascia l'arpione” minaccia il fratello dell'ucciso “o riceverai la mia accetta in faccia!”
L'uomo lascia la presa. Comincia ad aver paura. Il fratello si dirige verso il suo umiak e vi depone il lungo arpione. Ritorna verso l'uccisore del fratello e dice:
Io non mi vendicherò della morte di mio fratello su di te. Ma questo sì mi ripagherà”.
E prende la lunga cinghia alla fine della quale sono legati i cinque galleggianti.
No” replica l'uomo “Tu non ti ripagherai con questo!”
Impugna due galleggianti. Tirano ognuno dalla propria parte. Il fratello dell'ucciso è il più forte. L'uomo lascia la presa. Ha sempre più paura.
Il fratello dell'ucciso taglia la cinghia, la prende e prende i cinque galleggianti. Si dirige verso il suo umiak e vi depone la lunga cinghia e i cinque galleggianti. Poi ritorna verso l'uomo e dice:“Non mi vendicherò della morte di mio fratello su di te. Ma questo sì mi ripagherà” .
Va verso un grande cane maschio legato ad una roccia. L'uccisore di suo fratello non dice niente. Ha molta paura. Tremadi paura.
Il fratello dell'ucciso taglia la cinghia del cane, si dirige verso il suo umiak e vi depone il cane. Sale nell'umiak. Va a sedersi in fondo, prende la barra del timone, poi dice alle donne nell'umiak:“Andiamo!”
Le donne hanno guardato tutto questo in silenzio. Cominciano a remare. L'umiak si allontana.
L'uccisore del fratello primogenito lo guarda fino a che non scompare dietro un iceberg.

Prima della fine dell'estate, Tibidaj è seduto davanti la sua tenda a Ikatek, dove è tornato per ricostruire la sua casa, e sta tagliando una lunga cinghia per il suo arpione d'inverno. Alza gli occhi e dall'altra parte del fiordo vede un umiak che avanza. L'umiak si avvicina. In fondo all'umiak riconosce l'uomo che è al timone: è il fratello dell'ucciso.
Tibidaj, che ha sentito la storia dell'arpione, della lunga cinghia, dei cinque galleggianti e del cane maschio, comincia ad aver paura.
L'umiak accosta. Tibidaj lo guarda arrivare, ma non smette di tagliare la lunga cinghia. Il fratello dell'ucciso si ferma davanti a lui.
Non mi vendicherò della morte di mio fratello su di te. Ma questo sì mi ripagherà” dice, e indica una grande pelle d'orso tesa sul telaio a seccare.
Quest'orso era stato ucciso da Tibidaj qualche giorno prima davanti la sua tenda, dove era stato probabilmente attirato dall'odore di foca che cuoceva. L'aveva ucciso con un colpo di lancia nel momento in cui si era alzato sulle zampe. Aveva mirato bene. Aveva avuto anche fortuna perché la lancia non aveva incontrato le costole ed era entrata tutta fino al cuore.
Tibidaj voleva che sua moglie con quella pelle gli cucisse dei pantaloni per la caccia in inverno.“No”dice “non ti ripagherai con questo!”
Il fratello dell'ucciso non risponde. Va verso il telaio e comincia a tagliare le cinghie di tensione. Tibidaj si alza, va verso di lui e lo afferra per il braccio. Ha paura.
Lasciami o ti pianto l'accetta in faccia!” Si battono.
Il fratello dell'ucciso è il più forte. Tibidaj, che ha molta paura, lascia la presa.
Il fratello dell'ucciso taglia le cinghie di tensione, prende la pelle d'orso sulle spalle, e scende verso l'umiak. Getta la pelle d'orso nell'umiak e ritorna verso Tibidaj, che ha sempre più paura.
Gli arriva davanti e dice:“Non mi vendicherò della morte di mio fratello su di te. Ma questo sì mi ripagherà”.
Indica un grande cane maschio attaccato ad una roccia.
No” dice Tibidaj, che ha sempre più paura “non ti ripagherai con il mio cane di testa!”
L'altro non dice niente. Va verso il cane, taglia la cinghia, si dirige verso l'umiak e vi depone il cane. Va a sedersi in fondo e prende la barra del timone, poi dice alle donne nell'umiak:“Andiamo!”
Le donne hanno guardato in silenzio. Cominciano a remare. L'umiak si allontana veloce. Tibidaj lo guarda allontanarsi fino a che non scompare dietro il promontorio, a sud.
Molti anni dopo, l'uccisore del fratello primogenito e Tibidaj, hanno acquistato una formula magica per far morire il fratello dell'assassino. Così questo si ammala durante l'inverno. Il suo corpo marcisce lentamente. Una sera esce di casa per andare a cercare da mangiare. Cade. Rotola fino alla riva.
A notte inoltrata gli altri che sono usciti a cercarlo lo trovano bocconi come è caduto: sulla roccia, la testa affondata nell'acqua fino alle orecchie.

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domenica 12 ottobre 2008

La Palla di Luce: una leggenda Inuit



Quando la terra era appena nata, molto tempo fa, risalendo dalle acque che coprivano tutto il mondo, era sempre buio nel mondo degli Inuit.
E gli Inuit avevano molta paura del buio, perché non si accorgevano dell'arrivo di Nanuk, l'orso bianco, che li assaliva silenzioso prima che potessero accorgersi del suo arrivo.
Molti degli antenati erano morti così, fra la disperazione delle donne e il pianto dei figli rimasti orfani senza più chi cacciasse per loro e li sfamasse.
Ma un giorno volò sul mondo degli Inuit un vecchio Corvo che, fermandosi per riposare perché era molto, molto vecchio e stanco, si stupì di quella notte continua, e tanto per passare il tempo, mentre era fermo raccontò loro che in altri luoghi vi erano molte giornate luminose, e per dare un'idea spiegò che quella luminosità era pari alla luce di migliaia e migliaia di lampade di grasso accese, e che grazie a quella luce si poteva vedere lontano, e scorgere le slitte che tornavano dalla caccia ancor prima di udire l'abbaiare dei cani ....

Fu così che gli Inuit iniziarono a chieder al vecchio Corvo di andare, per cortesia, a prendere per loro la luce di quelle mille lampade, e portargliela.Ma il Corvo titubava, non voleva andare.
Sono troppo stanco, diceva, e la luce è molto, molto lontana.
Ma alla fine, vedendo la misera vita che quella gente conduceva nel buio assoluto si impietosì, e partì alla ricerca della Luce.

Volò per giorni e giorni fino a che, oramai al limite delle forze, proprio nel momento in cui stava per decidere di tornare indietro scorse, lontano sull'orizzonte, un fievole bagliore.
Era la Luce!
Mano a mano che si avvicinava, il bagliore diveniva sempre più forte fino a che si trovò a volare nel giorno pieno, e allora capì di essere finalmente arrivato nel paese della Luce.
Esausto, si fermò a riposare su di un albero, vicino ad un ruscello, ed iniziò a pensare a qualche stratagemma per prendere la Luce e portarla agli Inuit.
In quel momento, una bambina, vestita con un mantello di pelliccia bianco come la neve che avvolgeva tutto il paesaggio, si avvicinò al ruscello ad attingere acqua.Il Corvo, che era abile nei travestimenti, mutò allora il proprio aspetto in quello di un granello di polvere e andò a nascondersi fra le setole del mantello, cosicché, quando la bambina rientrò a casa, senza accorgersene lo portò con sé.

Dentro la casa regnava un caldo tepore.
Una donna stava cucendo una pelliccia, e, in un angolo, il vecchio capo del villaggio si scaldava al fuoco. Il nipote, un piccolo bambino infagottato in una lucida pelliccia di foca, stava giocando sul pavimento con delle statuine di osso.
Il Corvo, che aveva a quel punto già preparato il suo piano, sempre mantenendo l'aspetto di un granello di polvere gli volò nell'orecchio e iniziò a fargli il solletico.

Il bambino incominciò a piangere.
Perché piangi? gli chiese il nonno, dispiaciuto della improvvisa angoscia che aveva assalito il nipotino.
Digli che vuoi giocare con una Palla di Luce, gli bisbigliò il Corvo in un orecchio.
Perché voglio giocare con una Palla di Luce, piagnucolò il nipote.
Il nonno allora andò a pendere la scatola dove teneva le Palle della Luce, ne prese una, piccola piccola, la legò con uno spago, e la diede al nipote affinché vi giocasse.

Il granello solleticò ancora l'orecchio del bambino, che riprese a piangere, ancora più angosciato.
Perché piangi?, chiese ancora il nonno, che come tutti i nonni voleva che il nipote fosse felice.
Digli che vuoi andare a giocare con la Palla di Luce fuori di casa, suggerì il corvo.
Allora il nonno aprì la porta di casa, e accompagnò il bambino sul terreno innevato davanti alla casa, poi tornò dentro a riscaldarsi davanti al fuoco, perché fuori era molto freddo.

Come il bambino rimase solo, il granello di polvere si tramutò in Corvo, estrasse i suoi artigli e tagliò lo spago che legava la Palla di Luce. Prese la Palla di Luce e volò via verso la terra degli Inuit....

... sentendo lo sbattere delle ali nell'aria, tutti gli Inuit corsero fuori dalle le loro case e rimasero un po' delusi, perché il corvo ritornava, ma era sempre buio.
Ma appena arrivato sopra il villaggio, il Corvo lasciò cadere a terra la Palla di Luce, che si infranse in mille piccoli pezzi, e liberò la Luce che racchiudeva.
La Luce affrontò la Notte, combatté con lei, la vinse e la scacciò.
Su tutta la Terra dilagò allora il Giorno.Meraviglia!
Ora gli Inuit potevano vedere lontano.
... guarda le montagne, laggiù, come sono belle
...e il cielo, come è azzurro
... potremo finalmente vedere Nanuk arrivare
...e cacciare tante ore ogni giorno, e andare a pescare più lontano, e cercare mari più pescosi!

Ringraziarono il Corvo ma lui, dopo aver visto quella felicità, era rimasto rattristito per non essere riuscito a portare una Palla di Luce più grande.
Ho potuto portare solo una piccola Palla di Luce, si scusò, così potrete avere luce solo per metà dell'anno...
Ma gli Inuit, che non sono ingordi e sanno accontentarsi di quel poco che hanno, risposero:
ma noi siamo felici lo stesso. A noi basta avere luce per metà dell'anno, prima era buio tutto l'anno!

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www.mentelocale.it