venerdì 12 dicembre 2008

Gli Inuit di Angmagssalik

Il porticciolo di Tiniteqilaaq


La baia di Angmagssalik, località della Groenlandia orientale poco a sud del Circolo Polare Artico, è uno degli angoli del Pianeta più difficilmente raggiungibili per la maggior parte dell'anno, isolata come si trova dal pack-ice che si spezza solo a tarda primavera.

Inoltre, le lingue glaciali alle testate dei due grandi fiordi di Sermilik e di Sermiligaaq (il bellissimo fiordo ghiacciato) a inizio primavera iniziano a scaricare in mare centinaia di iceberg che vanno a saldarsi con i lastroni del pack residuo, formando una barriera di ghiaccio che rende difficile la navigazione anche in piena estate.
Si capisce, così, perché questa parte della Groenlandia è rimasta isolata dal resto del mondo fino all'avvento delle prime rotte aeree commerciali.

Ad Angmagssalik, in meno di una decina di villaggi sparsi lungo le coste dei fiordi vivono in condizioni ambientali estreme circa 2.900 Inuit, la cui sopravvivenza dipende quasi esclusivamente dalla caccia e dalla pesca (salmoni, foche, orsi), non esistendo per loro altra forma di sostentamento.

Di origine siberiana, gli Inuit (che nella lingua inuktikut significa ‘il popolo') arrivarono in Groenlandia con uno dei flussi della grande migrazione che a partire dal 2400 a.C. attraversò lo Stretto di Bering e colonizzò i territori più settentrionali del continente americano, stanziandosi poi nelle regioni dell'Artico comprese fra l'Alaska, il Canada, la Russia, la Finlandia, la Svezia, la Norvegia, l'Islanda e la Groenlandia.
Gli Inuit attuali discendono dalla popolazione di Thule, che nel XI secolo dal Canada si espanse rapidamente nel nord della Groenlandia, colonizzando tutta la costa occidentale.Un'altra parte, invece, alla ricerca di mari sempre più pescosi iniziò a scendere lungo la costa orientale arrivando nella baia di Angmagssalik 'là dove ci sono i pesci'.
Qui rimase intrappolata dai ghiacci, e divenne stanziale, senza più contatti con il resto del mondo fino a quel fatidico 1884, quando Gustav Holm, alla ricerca di resti di insediamenti vikinghi dopo aver doppiato capo Farwell, estrema propaggine meridionale della Groenlandia, si era spinto a nord fino a raggiungere per la prima volta la baia di Angmagssalik.

Fino al momento di questo incontro gli Inuit di Angmagssalik credevano di essere l'unica forma di vita umana presente sulla terra.
Si racconta che un coraggioso cacciatore, spinto dalla curiosità di conoscere cosa esistesse oltre i propri orizzonti, si fosse messo in cammino sulla calotta polare, diretto a occidente. E che fosse tornato indietro dopo parecchi giorni di cammino in quel deserto bianco, dicendo: Non c'è nulla. Solo ghiaccio. Siamo gli unici uomini sulla terra.
Ghiaccio e rocce nel fiordo di Sermilik

Gli abitanti di Isertoq, piccolo villaggio di cacciatori di 130 abitanti al margine della calotta polare, hanno avuto contatti con persone estranee al loro ristretto gruppo etnico solamente dopo la seconda guerra mondiale, quando poco lontano, a Ikatek, fu costruita una base aerea militare USA.
Fino agli anni '30, quando i danesi importarono in Groenlandia il legname per le prime costruzioni - le tipiche casette in legno variopinto tanto note agli occidentali - e ancora fino a poche decine di anni fa, gli abitanti di Angmagssalik, che allora erano poco più di 400 individui, vivevano nelle 'case di terra', costruzioni edificate in località riparate dai forti venti, parzialmente interrate, con muri in pietra e coperte da pelli e tavole di pietra, cui si accedeva carponi tramite uno stretto e basso cunicolo.
Si incontrano ancora oggi degli inuit, in giovane età, che raccontano di essere vissuti, nei primi anni dell'infanzia, nelle 'case di terra'.
Oggi gli Inuit di Angmagssalik vivono un bivio importante della loro esistenza.
Da un lato si accorgono che non possono più continuare a vivere di sola caccia e pesca, perché troppe sono le esigenze e i bisogni insorti con l'arrivo della civiltà occidentale, dall'altro sentono, prepotente, il bisogno atavico di continuare a muoversi secondo i loro ritmi tradizionali.
Così stanno cercando di compiere l'unico passo che li possa porre in 'comunicazione' con l'occidente senza mettere in discussione le loro tradizioni millenarie.
Attenti alle motivazioni dei pochi che si sono recati in questi luoghi per i viaggi nei fiordi, i tour in kayak, i trekking nelle lingue glaciali, le randonnèe di scialpinismo, si sono accorti di possedere un bene estremamente richiesto da noi occidentali, che oramai abbiamo devastato il nostro: l'ambiente.
Unico, meraviglioso, incontaminato.
Lo sforzo che oggi stanno compiendo è quello di attivare un turismo sostenibile, senza grandi alberghi, non devastante per l'ambiente, riassumibile nel termine 'di esplorazione'.
Rivolgendo la propria economia verso un turismo così élitario, con una puntigliosa cura volta alla difesa dell'ambiente e delle proprie tradizioni, non potranno avere grandi afflussi, certo, ma non hanno bisogno neppure di grandi numeri.


Pubblicato su:
Agenzia Radicale

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