martedì 30 settembre 2008

Groenlandia: le 90 Paperette di Albert Behar

La notizia delle ricerche che da qualche tempo si stanno effettuando nei ghiacciai groenlandesi per cercare di capire le ripercussioni degli effetti che i mutamenti climatici in atto hanno sull'andamento futuro della calotta polare, ha avuto particolarmente risalto in questi ultimi giorni, quando si è avuta notizia che Albert Behar, ricercatore del Jet Propulsion Laboratory della NASA, ha immesso in un inghiottitoio del ghiacciaio Jakobshavn, in Groenlandia occidentale, 90 paperette di gomma per studiare il percorso delle acque all'interno del ghiacciaio.


Sulle paperette si è parlato molto, ma del perché e del come sono state utilizzate si è spiegato poco, perdendo così l'occasione per mettere a fuoco un campo della ricerca glaciologico-speleologica svolta con tecnologie estremamente avanzate e sofisticate che si va in questi ultimi anni affacciando nell'ambiente scientifico, di notevole interesse per l'interpretazione e la prevenzione delle mosse future del clima.
In realtà parlando delle paperette ci si addentra in un settore della glaciologia estremamente ignoto e onestamente incomprensibile ai non addetti a lavori: quello della circolazione delle acque all'interno dei ghiacciai, e sui riflessi che questa circolazione ha sui movimenti della massa glaciale, il tutto applicato allo studio della dinamica dei ghiacciai Groenlandesi.

Per la cronaca, Albert Behar è un ricercatore che da diversi anni sta svolgendo ricerche sulla circolazione idrica interna ai ghiacciai della Groenlandia occidentale.
Lo scopo è cercare di capire l'effetto che questa circolazione sub-glaciale ha sullo scivolamento delle lingue glaciali e sulla ripercussione che nel tempo questo scivolamento potrebbe avere sulla calotta polare.
Già qualche anno fa aveva immesso nei 'mulini' (o inghiottitoi: i pozzi assorbenti che permettendo alle acque di fusione superficiale di penetrare nella massa glaciale) delle sonde radiocomandate, che avevano percorso qualche centinaio di metri all'interno della massa glaciale, riportando sui monitor da cui erano seguiti in superficie immagini video e fotografiche di gallerie e di grandi vuoti interni completamente allagati.
Le sonde erano anche munite di una strumentazione atta a misurare l'inclinazione e la direzione del percorso.
Tutti i dati venivano poi trasmessi in superficie, così da riportare una pianta e una sezione della cavità glaciale: una vera e propria grotta nel ghiaccio, completamente allagata.
Lo scopo delle ricerche era di capire dove andava a finire l'acqua che dalla superficie glaciale finiva nei 'mulini', se si fermava all'interno della massa glaciale, in laghi subglaciali, o finiva in mare.